Il 37, 8% degli italiani vorrebbe vivere all’estero.

 

 

Questa percentuale, che dovrebbe essere preoccupante, ma non sembra esserlo sale, secondo i dati di Eurispes pubblicati da Repubblica il 20 febbraio scorso, al 52, 5% tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni.

 

 

Cosa significa questo disamore nei confronti del nostro paese e quali conclusioni di principio possiamo trarne? Soprattutto, è solamente un’infatuazione verso qualcosa che non conosciamo oppure c’è un fondo di verità che forse dovremmo cominciare a vedere?

 

 

Chi pensa di potersi ricostruire una vita all’estero è quasi sempre dotato di un buon titolo di studio, un diploma o una laurea (oltre il 50% dei possessori si dichiara disposto e motivato a partire) e partirebbe per opportunità lavorative che in Italia è convinto di non poter trovare (25,7%), perché curioso di vedere altre culture (22,9%), per una vivacità culturale che manca nel nostro paese (14,2%) e ultima, ma non per importanza, la prospettiva dei futuro per i propri figli, viste migliori fuori d’Italia dal 13,1% degli intervistati.

 

 

Andare a vivere all’estero è una scelta da cui è difficile tornare indietro, già vissuta nel passato dai nostri connazionali e successivamente limitata a fasce molto ristrette della popolazione, vista solo come un mezzo per i più disperati ed i più ambiziosi. Come spiegare dunque questo ritorno del fascino dell’oltre confine? Non ho risposte scientifiche basate su indagini sociologiche serie, ma la permanenza all’estero di quest’anno mi permette di vedere il problema in modo più chiaro, essendone un diretto interessato e posterò qui alcune esperienze personali che credo possano permettere di capire il perché di questa nuova tendenza.

 

 

 

La banca

Ricordo l’ultima volta che sono andato in banca in Italia, dovevo spostare i soldi dal mio costosissimo conto in banca verso il nuovo conto francese e volevo chiedere per un piccolo investimento non volendo avere a disposizione tutti i soldi (che quando li si ha, poi è facile spenderli!). Ricordo la fila e l’attesa, ricordo la commissione che ho dovuto pagare, ricordo la proposta del consulente finanziario di obbligazioni della mia banca al 1,4% netto annuale. Lui credo ricorderà la mia risata e il mio “ma scusi, sa quale è il tasso d’inflazione annuale? Questo sarebbe il migliore investimento che sa propormi?”

 

Ricordo la prima volta che sono stato in banca qui a Parigi. Studente universitario, conto gratuito. 25 euro versati sul mio conto dalla banca stessa per una promozione sul festival del cinema credo. So di poter gestire il mio conto da casa tramite internet, di poter pagare le bollette nello stesso modo, di poter telefonare al cellulare del mio consigliere, so che ci terrebbero ad avermi come cliente anche in futuro (la loro gentilezza è aumentata dopo aver saputo la media dei miei voti, che sì, me l’hanno chiesta insieme al mio campo di studi all’apertura del conto). Sono disposti a darmi della fiducia per altri anni, a costo zero, per avermi come cliente poi, e non perché siano dei benefattori, ma perché conviene in primo luogo a loro.

 

 

 

L’università

Il sistema educativo è prettamente migliore in Italia che in Francia, la preparazione è migliore e questo si sente, ma qui è permesso di arrivare ad una borsa di dottorato non secondo un numero chiuso, ma secondo la bontà del progetto di ricerca che si propone. Le lezioni sono molte di più ed a orari differenziati per pensare a chi deve lavorare e non solo studiare. Le aziende cercano direttamente all’interno delle facoltà il personale da assumere (possibilmente precario, che tutto il mondo è paese) e non guardano il nome o il cognome, ma la media dei voti ottenuti e il campo di specializzazione. Ed è normale prendere il Bac a Brest, andare a studiare a Grenoble e fare lo stage a Metz. Ci si sposta, che a 18 anni si esce di casa e si capisce come funziona il mondo. C’è meno sapere ed è più polverizzato, ma c’è l’idea di un futuro, ancora è permesso averla.

 

 

 

Il lavoro

Ho un brevetto da assistente bagnanti, molto utile per mantenersi agli studi e tirare avanti in attesa di avere (forse) un giorno un lavoro. Cerco lavoro in Italia? Telefono al numero che ho trovato, si fa un colloquio in cui di solito neppure chiedono eventuali esperienze, sparano una cifra il più basso possibile e poi si cerca di accordarsi.

 

Il mio brevetto è valido in altri 31 paesi, tra cui la Francia. Cerco un annuncio, lo trovo con tanto di stipendio lordo e netto già indicato. Trovo una richiesta di curriculum e di una lettera di motivazione. Almeno due lingue richieste. Mando curriculum e lettera. Tre giorni e quattro offerte di colloquio pervenute, nessuna simpatica come quelle che ho ricevuto a casa, ma tutte concentrate sulle mie esperienze lavorative e sul modo in cui mi sono presentato. L’impressione quella di una professionalità ostentata anche nelle piccole cose che da noi pare non vedersi

 

 

 

I trasporti

Ho preso solo un treno in ritardo negli ultimi 6 mesi. Di cinque minuti. E la gente non era propriamente contenta. In Italia vivo a 83km/1h da Bologna in treno, più quindici minuti di ritardo da calcolare ad ogni spostamento. Vivo dunque a circa 1h/15 min da bologna a quasi 70 euro al mese con posto non assicurato neppure in piedi almeno quattro giorni alla settimana (il lunedì e martedì per andare verso Bologna, il giovedì e il venerdì per tornare a casa) Treni soppressi a go-go quando qui con 276,5 euro annuali ho gli spostamenti illimitati in tutta l’aerea parigina e in tutta l’Ile de France durante i week end e le vacanze scolastiche.

 

 

 

 

 

 

La cultura

Gli studenti hanno ingressi e tariffe ridotte per andare praticamente dovunque, dal cinema agli aerei, passando per alcune discoteche e le principali catene di abbigliamento. Un anno di Louvre, di Pompidou, d’Orsay, costa al massimo 22 euro a chiunque. Se chiedo permesso la gente si sposta per lasciarmi scendere dal métro, se entro in un negozio il commesso mi saluta all’entrata e all’uscita, anche se non compro mai nulla, così come mi saluta qualcuno che conosco solo di vista. Esiste una base di cultura civile, che in Italia spesso si fa fatica a vedere, e si nota nelle piccole cose, si nota nell’uso forse eccessivo di forme di cortesia, nelle scuse che la posta mi fa quando sbaglia a portare una lettera e mi chiede il numero di cellulare per chiamarmi e chiedermi scusa appena essa sarà ritrovata. Si nota nelle auto che si fermano alle strisce pedonali ed è contagioso. Una volta che si riceve una gentilezza come queste, per quanto stupide, si tende a fare lo stesso, e si saluta e ringrazia lo spazzino per strada quando si sposta per farci passare; e si tiene la porta aperta per chi deve uscire dopo di noi. E diventa normale, ed è cultura.

Cosa manca dunque ai giovani italiani che sognano i difetti degli altri paesi e non i nostri? Manca il punto fondamentale che dovrebbe venire dal proprio paese, l’idea di una prospettiva futura. E quando questa è assente le scelte sono due, o ci si scontra con la realtà e si resta bloccati in casa con la mamma che prepara da mangiare oppure si fanno armi e bagagli e si va a scontrarsi con la realtà di un altro paese, cercando di promuovere lo stesso sviluppo nel proprio paese. Ma ogni persona che se ne va è una secca perdita di cultura per questa nostra Italia, è un altro passo indietro, è un altro ostinato rifiuto di guardare avanti. E invece di proporci una prospettiva queste nuove elezioni ci portano idee di pensioni ad 800 euro da un lato e dall’altro…beh, dall’altro non ho ancora ben capito cosa vogliano offrirmi. Ma intanto prolungo il mio soggiorno di qualche mese, poi rientrerò in Italia perché il corso di laurea specialistico che voglio seguire è solo lì, ma l’occhio puntato su quanto sta fuori quello no, non lo ripongo. Prima o poi si dovrà probabilmente ripartire. E non mi andrebbe.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.