Sto iniziando a scrivere un articolo sulla gestione dell’informazione nel mondo della rete, sui legami intimi che vengono forzatamente a crearsi in questo contesto tra l’economia e la cultura, molto più di quanto già succedesse in precedenza. L’esempio che dovrei prendere e analizzare è il caso più vistoso, più eclatante, più magnificente: Google.
Parlavo di tutto questo qualche giorno fa con Carla e, durante la conversazione, ho ripreso e cominciato a sviluppare una tematica cui penso da qualche tempo e che sto rielaborando mutuandola da alcune recenti esternazioni di Umberto Eco. Secondo Eco infatti Internet non puo essere paragonato all’enciclopedia cosi come pensata all’interno della teoria semiotica, questo perché non è capace di dimenticare.
L’enciclopedia è un condensato ideale di una data cultura ad un momento storico ben determinato. Ed Eco la considera intelligente perché essa è indefinita, ma non infinita e risulta da una scelta di tutto quanto prodotto nel corso della storia di questa cultura data. Il resto, considerato poco rilevante o del tutto irrilevante è stato invece dimenticato. Dissolto.
Internet e l’informazione presente in rete, al contrario, non possono essere dimenticate. O vengono cancellate oppure resteranno li, immagazzinate per sempre, disponibili in qualche modo ad essere recuperate. Non rielaborate restano una summa, un dizionario dalle dimensioni immani, ma pur sempre un dizionario, un semplice elenco.
Questa disponibilità crea tuttavia un aumento esponenziale delle informazioni, aumento che costringe a creare criteri sempre più selettivi per andare a cercare, in mezzo alla massa, quanto puo interessarci. E questa necessità di selezionare, di eliminare, di togliere in maniera grossolana rischia di farci perdere un numero inimmaginabile di contenuti interessanti, cassati perché non ritenuti abbastanza rilevanti per poter essere presentati.
Si sperava negli utenti per stabilire cosa fosse davvero interessante e cosa no. Ma lo si faceva in un modo totalmente naif, sull’onda di un’utopia tecnologico e progressiva. Le cose non sembrano andare per il meglio.
In questi ultimi tempi spesso la discussione in blogosfera (parlo di quella italiana, all’estero le cose mi sembrano ancora andare abbastanza bene) mi sembra assomigliare più al chiacchiericcio condominiale che ad altro, meme su meme, bigliettini di auguri, catene di sant’antonio e quant’altro. A volte qualche vecchia questione che rispunta fuori, spesso trattata come se fosse la prima volta, come se quelle passate non avessero mai avuto luogo. Manca la riflessione, la distanza critica, la semplice voglia di andare a recuperare qualche fonte. Si parla, si parla, spesso non preoccupandosi troppo della qualità del contenuto, anche se questo richiederebbe uno sforzo spesso irrisorio.
Mi ritrovo ad avere un aggregatore pieno zeppo di fonti e di trovarne interessanti sempre meno, le altre ormai ridotte a cassa di risonanza della vita più o meno privata di questa o quella persona. Non so se poi si tratti di una mia impressione, di un periodo di stanca, di chissà che. Il 95% di quanto arriva è già detto, è vecchio, ridondante per chiunque abbia almeno qualche mese di memoria delle conversazioni passate.
Sta di fatto che questo post di Enrica mi è molto piaciuto e mi ha fatto andare a buttare un occhio dopo secoli alla mia classifica (in caduta libera parrebbe) di Blogbabel. Devo essere entrato in qualche meme augurale e credo di aver fatto più link negli ultimi due giorni che nel corso degli ultimi dieci mesi, alla faccia dei contenuti, alla faccia delle riflessioni.
Forse oltre a scrivere un po’ meno propongo interventi molto meno interessanti che in passato, non so, forse nessuno li legge più dato che non frequento coloro che potrebbero portare molti link e molti lettori o forse semplicemente scrivo per pochi, seleziono i miei lettori in base a quanto scrivo, al modo in cui scrivo, chi lo sa.
Sta di fatto che gli auguri fanno notizia, il chiacchiericcio fa notizia, la trovatella fa notizia, il resto no. Alla faccia spesso della qualità e della riflessione.
Spesso continuo a trovare poco di nuovo in mezzo a tutta questa novità.
Chiedo scusa per lo strambo linguaggio!
Il problema del rapporto tra università e stato dei fatti, soprattutto per quanto riguarda le facoltà umanistiche di fronte alle modificazioni tecnologiche meriterebbe una trattazione a parte, infinita e non so quanto concludente.
Ad ogni caso delle novità ci sono e delle idee abbastanza nuove anche, semplicemente cercano di farsi strada e venire fuori.
Già tra un mesetto ad esempio dovrebbero uscire alcuni interventi interessanti a proposito, se dovessi ripassare da qui li segnalero sicuramente.
Le tue osservazioni sono giuste, anche se scritte in “semiologese” :-). Il mio punto e’ che le considerazioni di Umberto Eco da cui e’ partita la discussione, potevano essere fatte 15 anni fa. Anzi, altri le hanno fatte, infatti sono le obiezioni a Internet che io sentivo fare proprio nel 1994 e anni seguenti.
E’ dai primi anni ottanta che nel mondo del software si riflette sul problema della digitalizzazione delle informazioni (in passato ho avuto occasione di lavorare come consulente per Adobe, Apple, Hewlett Packard e Microsoft), mentre le facolta’ umanistiche dell’Università italiana guardavano e, salvo eccezioni, guardano tutt’ora da un’altra parte.
E’ per questo che dico che Umberto Eco ha preso una cantonata: se nel 1940 uno avesse previsto il traffico automobilistico che oggi invade le città italiane, sarebbe stato un lungimirante visionario; se uno dice le stesse cose adesso, dice solo delle banalità , e nemmeno troppo utili.
Si, ma la tecnologia digitale ha, per la prima volta, spezzato l’identità fenomenologica tra scrittura e percezione.
E’ la prima volta nella storia dell’umanità che il pensiero non viene semplicemente fissato su un supporto e quindi deve adattarsi ad esso. Ora il pensiero puo essere virtualizzato ed inserito in qualunque tipo di supporto, senza le precedenti restrizioni dovute alla materia.
Per questo ritengo gli sviluppi futuri passibili di essere sostanzialmente differenti rispetto al passato. Il che non toglie l’ovvia presenza di vantaggi e svantaggi correlati.
La massa informazionale e l’inclusione in maniera preponderante dell’economia nel processo non di produzione, ma di gestione del sapere, mi paiono essere un punto critico che non era tale in passato. Non a questi livelli perlomeno…
Dici: ” Il problema che oggi ci si pone davanti è la perdita dell’oblio informazionale”. Sì, è vero, ma guarda caso non è nulla di nuovo: e’ lo stesso problema che ci si e’ posti con l’invenzione della scrittura: le obiezioni che venivano fatte nei confronti della scrittura erano che in questo modo la parola diventava fissa per sempre. Tali obiezioni sono state fatte sia dalla filosofia greca, sia nel mondo sanscrito, sia, probabilmente, in altre aree. In effetti il fatto di mettere le cose per iscritto comporta dei paradossi rispetto a una cultura esclusivamente verbale — ma anche i numerosi vantaggi che conosciamo.
Caro Gianni,
non credo il problema sia questo e non sono neppure sicuro che Eco lo ponga in tal modo, essendo già dagli anni ’70 un « integrato » delle culture popolari rispetto agli « apocalittici » della vecchia cultura elitaria.
Il punto centrale infatti mi pare un altro, cosi come mi pare quasi che Eco non si spinga abbastanza avanti su questo stesso punto e riguarda la quantità e non qualità dell’informazione.
Prima della rivoluzione digitale la cultura aveva due modelli di gestione; quello popolare e quello accademico. Uno costruiva l’enciclopedia dei saperi comuni, l’altro, fatto da persone con una specifica preparazione e dotate di un elevato riconoscimento sociale, elaboravano quella che era ritenuta la cultura alta, quella da insegnare, da tramandare per intenderci.
Le interazioni tra i due modelli erano molteplici e non staro qui ad elencarle in maniera del resto totalmente non esaustiva.
Il problema che oggi ci si pone davanti è la perdita dell’oblio informazionale. Con questo intendo dire che nulla viene più dimenticato come invece avveniva in passato (in entrambi gli ambienti) perché ritenuto non importante. Tutto viene registrato ed entra a far parte della grande enciclopedia collettiva.
A cosa ci porta questo processo? Ad un aumento della quantità dell’informazione (prescindo come vedi dalla questione della qualità) che non puo essere trattata se non in maniera automatica, matematica.
Si passa dai giudizi di valore agli algoritmi e soprattutto all’idea, alla base del progetto Google, che ad ogni domanda corrisponda una sola risposta corretta. Tutte le altre, per risparmiare energia e poter dare la risposta in tempi accettabili, devono essere tagliate, non considerate, eliminate.
E siccome solo poche aziende avranno le dimensioni per fornire questo servizio (Google ad esempio), ci forniremo tutti da loro e avremo risposte più o meno standardizzate. Il rischio è che sia la massa stessa, legata a meri fattori economici, ad uccidere l’emersione della nuova qualità che le nuove tecnologie hanno permesso dando a tutti la possibilità di pubblicare (escludendo quindi tutta la fuffa prodotta quotidianamente). Questo mi pare il punto fondamentale della questione, da dibattere ulteriormente.
Non sono molto d’accordo. Ho visto e ascoltato attentamente il video di Umberto Eco in cui parla di Internet, e secondo me ha preso una cantonata. Vi ho sentito le stesse obiezioni che si facevano 15 anni fa, confondendo abbondanza e autoproduzione con automatica mancanza di qualità. Se adottassimo unicamente un astratto criterio di qualità e attendibilità, anche la stampa a caratteri mobili ha rovinato e reso popolare un medium precedentemente “migliore” perché sotto il controllo di ben piu’ raffinati professionisti: un codice miniato a mano è cento volte più bello del miglior libro Einaudi e della miglior edizione Treccani. Questi ultimi sono prodotti industriali di qualità inferiore rispetto a un codice quattrocentesco o a un taccuino di appunti di Leonardo da Vinci.
Le obiezioni di Umberto Eco a Internet sono le stesse che sono state fatte a proposito di Cinema contro Televisione, Fotografia tradizionale contro Fotografia Digitale, persino Sartoria su misura contro Pret à porter.
Certissimamente, infatti io lo gestisco come non fanno tanti altri e siccome loro non si lamentano di me (al massimo non mi leggono) io non mi lamento di loro (al massimo li tolgo dall’aggregatore).
Il problema amplissimo resta che tutti parlano da sempre, spesso a vanvera, e le nuove tecnologie amplificano il chiacchiericcio. Il rischio è che qua non ci si senta più nulla, gridando tutti a destra e a manca i propri auguri, o chissà che altro, fino ad intasare i servizi che hanno come scopo quello di permetterci di trovare nuove ed utili informazioni…
Approposito, auguri! (ma fatti qui, senza troppe catene e senza troppo clamore!)
Certo il blog è una cosa privata che ognuno gestisce come più preferisce al momento di premere invio.
Però (ed è per questo che ti scrivo) sono d’accordo con te nel vedere il blog come spunto di riflessione piuttosto che un accozzaglia di auguri infiniti.
Auguri di buon anno!