Come avevo preannunciato ieri abbandono le autoreferenziali discussioni da blogger per riprendere un argomento che mi interessa molto ed è misteriosamente ritornato ben tre volte nell’ultima settimana. Il concetto di avanguardia. Per la cronaca riprenderò in gran parte un ottimo pezzo di Andrea Inglese pubblicato in tre parti su Nazione Indiana nel corso delle ultime settimane.
Ringrazio inoltre Fabio per il suo commento di qualche giorno fa e chi ne ha discusso con me ieri sera nel dopo-seminario del martedì sera, tra bistrots parigini e casa di Marie (ringrazio in particolar modo Monique Sicard, François Berthelot, Marie, Pierrine e Christophe anche se non leggeranno mai questo post)
Partendo proprio da quanto dice Andrea Inglese « l’avanguardia è roba museale, certo, roba da settoriali ricerche accademiche, o da commemorazioni, o da vecchi rancori e anatemi, comunque roba obsoleta ». E’ un termine inoltre che possono usare in pochi e addottorati, producendo esclusivamente noiosissime relazioni che neppure la reazione di Fantozzi al cineforum aziendale sulla Corazzata Potiomkin sarebbe fuori luogo.
Senza voler dunque cadere in sterili discorsi accademici, anche perché non si tratta del mio campo di studi, vorrei mettere qualche riflessione in fila e discuterne un poco.
Innanzitutto partiamo da un concetto di base. Ovvero cosa intendiamo per avanguardia. Partirei dalla radice del nome, dalla significazione primaria. Si tratta allora di qualcuno che sta davanti, che riceve e rinvia per primo le novità, che è capace di vedere le modificazioni, i cambiamenti che arrivano e arriveranno. Nel caso generale dell’artista, si tratta allora di qualcuno che sia in grado di comprendere la direzione della società prima della massa dei suoi contemporanei e utilizzare la propria arte per rendere noti questi cambiamenti, per iniziare un circolo virtuoso in cui descrivere la società e la direzione che questa ha assunto, provocherà altri mutamenti che, a loro volta, creeranno nuove forme artistiche.
Parliamo allora di un circolo interpretativo tra autore e società, tra arte e cultura di massa. Esso ha funzionato per lunghissimo tempo, ma ha ancora senso oggigiorno, e se si, in quale modo esso puo essere rappresentato?
Viviamo, senza alcun dubbio, in una società complessa, molto più complessa rispetto a quelle del passato. Assistiamo ad un decadimento delle élite culturali per via del fatto che la scienza stessa (escludendo la tecnica) non è più in grado di fornire modelli che paiano completi e affidabili per gestire la conoscenza.
Questo processo credo stia portando alla conclusione che la società odierna non abbia alcuna direzione, non una sola almeno, ma che sia meglio rappresentabile come un rizoma se vogliamo usare i termini di Deleuze e Guattari, o come un ipertesto (come preferisco dire personalmente) talmente esteso che, anche nel migliore dei casi, non possiamo aspirare se non a trovare un ordine all’interno della nostra cerchia ristretta di contatti, studi e conoscenze. Non possiamo dunque avere una direzione collettiva, ma al massimo una somma di movimenti individuali totalmente casuali.
Convinto di questo sto portando avanti le mie ricerche utilizzando un termine di derivazione biologica, proponendo l’idea di una semiotica dell’emergenza, capace di fornirci gli strumenti necessari a comprendere come il senso emerge in ambiti ristretti senza avere l’ambizione di spiegare ogni testo. Nella mia ottica si passerebbe attraverso tre fasi, emergenza dalla percezione ad una semantica pre-giudiziale, da questa alla parola e infine dalla parola ai testi.
Ampliando quest’ottica alla società potrei dire che oggi lo sviluppo della società non pare guidato da nessun attore consapevole. La precarietà, la commercializzazione intima di ogni momento delle nostre vite, i movimenti politici, le crisi e le guerre persino, sembrano non essere controllabili da nessun soggetto particolare. Se il ruolo dell’intellettuale era in passato quello di fungere da guida per la società, oggi che questo ruolo è andato perduto, quale è possibile che essi assumano per determinare un qualche senso al proprio agire?
Partendo dall’ipotesi dell’apertura, più o meno relativa dei testi narrativi e della libertà relativa che essi lasciano al lettore come proposto da Eco potremmo pensare che ogni opera d’arte (intendo quindi il termine narrativo come estremamente esteso, come in uso in semiotica) lascia che il lettore immagini e costruisca un’ipotesi, un mondo possibile, costituito in parte dal riflesso che la società contemporanea ha sull’autore e in parte da quello che questi aggiunge o non ritiene valido nei nostri giorni.
Il problema, e Andrea Inglese lo mostra molto bene, è che già a partire dalle ultime neo-avanguardie degli anni sessanta, settanta, il totale rifiuto che la società ha posto al ruolo dell’intellettuale, ha spinto questi ultimi a cercare un riscatto alla loro impotenza, sfociato (e destinato a sfociare?) nel nichilismo.
Infatti il letterato si trova sospeso tra due universi che non gli appartengono, la borghesia e il partito dei lavoratori (oggi parlerei piuttosto di economia e di cultura accademica) che non riescono ad offrirgli uno spazio idoneo che non sia interessato e sfruttato. I borghesi (e oggi il mondo economico) sanno che l’intellettuale non serve, l’importante è altrove e al massimo possono accogliere lo scienziato/tecnico/tecnologico, il partito invece vorrebbe snaturare l’intellettuale per i propri fini politico-culturali (e non troppo diverso è il ruolo di gran parte degli pseudo intellettuali di oggi inglobati all’interno del mondo accademico).
Da qui la mossa disperata delle ultime avanguardie, che rifiutano la precarietà di questi statuti e per smarcarsi e mantenere la posizione in seno alla società provvedono a negarla totalmente, cercando un’eversione totale, dalle istituzioni, dalle convenzioni, dalle regole. Non importa più il fine del cambiamento, il cambiamento stesso diventa nichilisticamente il fine.
Cambiare per cambiare, cambiare per dimostrare di esserci ancora e per sbattere in faccia a tutti di avere ancora un ruolo.
Una volta passato questo movimento, una volta teorizzata anche l’eversione per l’eversione, la fine un po’ anarchica di ogni preoccupazione sociale che non sia il destabilizzare le già fragili radici della poetica come delle istituzioni, cosa resta?
Quale deve essere oggi il ruolo degli intellettuali e delle avanguardie, di coloro anche che sono davanti agli altri nell’uso di nuove tecnologie, di nuovi modelli. In una società che sembra non avere una direzione, o almeno non pare averne una soltanto, è teorizzabile una molteplicità di avanguardie in terreni diversi, è teorizzabile una possibilità di modificare il corso delle nostre vite che non dipenda da una nuova tecnologia o da un cambiamento del tasso di sconto di una banca centrale?
C’è ancora la richiesta, la necessità di porsi questi problemi oppure anch’essa è andata persa? Ecco, qui credo ci sia un bel po’ da ragionare. E se la risposta fosse negativa, se non fosse un problema di metodo, ma di sostanza, allora sarebbe davvero il caso di essere preoccupati.
Se perdiamo il significato dei nostri giorni, se essi si riducono all’uscire di casa per guadagnare, al lavorare sempre di più per guadagnare di più senza avere neppure il tempo di spendere questi soldi. C’è sicuramente un interruttore che deve essere saltato. E se questo avviene solo per determinate persone, vuol forse dire che la parte di ipertesto, di rizoma che esse sono state capaci di attualizzare è eccessivamente ridotto e forse dovremmo cercare di stabilire nuove connessioni, di allargare gli orizzonti, riunendoli insieme.
Oggi Pierrine e Marie mi hanno consigliato di cercarmi un mecenate. Non c’è praticamente altra chance secondo loro per qualcuno che voglia produrre cultura ai nostri giorni. Consigliano di cercare qualcuno che non sappia che farsene di tutti i suoi soldi e che mi mantenga mentre io continuo a studiare e scrivo e pubblico.
Avevo pensato all’inizio di trovare una ragazza più o meno della mia età e molto ricca, e molto bionda e molto simpatica e interessante, ma ancora nulla. Allora forse basta davvero un mecenate vecchio stile. Dicono che ne esistono, per essere…
Beh, se qualcuno smania per farmi un’offerta del genere non c’è bisogno che si trattenga troppo! Per il momento mi accontento anche di uno stage pagato per la prossima estate o un’offerta di lavoro per lo stesso periodo che mi permetta di non abbandonare troppo gli studi, non preoccupatevi…
Partendo dal presupposto che mescolare passato e presente mi pare semiobbligatorio direi che. Non possiamo prendere il termine avanguardia senza vedere cosa è stato. Una volta capito questo dovremmo cercare di capire se esso è attualizzabile oppure no.
Detto questo, che giustifica il mescolone aggiungo che, secondo me, la società moderna semplicemente non è descrivibile. Almeno in base ai vecchi canoni razionalistici categoriali. Un’idea di cosa si voglia cambiare, una lettura di quello che ci sta intorno non è semplicemente possibile. Sono possibili molteplici visioni contemporanee e opposte tra loro persino. Ogni parvenza di logicità va abbandonata, almeno nelle grandi linee.
Come seconda cosa aggiungerei che non possiamo limitare l’avanguardia alla provocazione, essa è stata usata solo dalle ultime avanguardie, dal tardo diciannovesimo in poi per via della già detta situazione di rifiuto sociale in cui l’intellettuale è venuto a trovarsi.
L’avanguardia come spirito è ben altra cosa rispetto alla provocazione fine a se stessa che si, è giunta alla data di scadenza da almeno una quarantina di anni. Ammettiamolo.
Comunque l’idea che l’emarginato non sia tale proprio perché neppure più compreso all’interno della società non è di certo mia e non mi pare neppure tanto un’ipotesi. Basta pensare a tutte le persone che vengono già escluse dalle statistiche perché non rispondono ai criteri, basta guardare per strada la sera (o nelle stazioni del métro).
Il fatto è che a questi poveretti non si vende neppure l’idea di un qualcosa di meglio come una volta, ora a loro si vende semplicemente l’idea che forse un giorno verranno accettati di nuovo tra gli umani. E questa cosa non esisteva fino a un tot di anni fa. C’è esclusione piuttosto che emarginazione e la reinclusione non sembra passare da altro che dal commercio. Il che come concetto di appartenenza non mi pare proprio il migliore diciamo…
Resta che… Lo scambio vero, diretto sarebbe?
Il termine Avanguardia non smette di sollevare scambi, buon segno!
dal poco letto da me, questi si centrano su due aspetti, spesso mescolandoli: la riflessione su cosa siano state le avanguardie in passato –da Lenin all’Illuminismo, slittando sui cessi di Duchamps- e quella su come si possa esserlo, ossia cosa fare per cambiare il sistema in cui viviamo.
Manca a mio parere la base di ogni cambiamento: una chiara idea di cosa si voglia cambiare. Una lettura di quello che ci sta intorno.
Per quel che mi riguarda, credo non esista semplicemente più una realtà totale contro cui scagliarsi o da accettare……….. ed anche senza cadere sulla solita società fluida, effettivamente si può dire che un insieme fortemente condiviso di chiavi di analisi del mondo non sia presente per noi.
Lo strumento principe dell’avanguardia allora –la provocazione- è oltre la data di scadenza: non c’è alcun bisogno di decostruire un insieme già totalmente scomposto: serve piuttosto comprensione e poi costruzione di qualcosa. O meglio, la comprensione è in sé costruzione, perché è potere.
Va benissimo qualsiasi progetto dunque, dalla carta allo spazio idee, ma ci serve connettere davvero schegge diverse dello specchio rotto: fintanto che ciascuno di noi dà il suo minuscolo, magari interessantissimo, contributo, non facciamo che aggiungere informazioni che saranno viste da pochissimi in un sistema già collassante.
Io dico: se vogliamo veramente leggere anche un solo aspetto del sistema, dobbiamo interloquire con chi fa parte di esso. Ottima l’osservazione di fabio infatti, servono tutti i 360° .
Se astraiamo il “povero”, possono nascere ipotesi come quella di Simone –“l’emarginato non è ai piedi della società, semplicemente ne è escluso”. Ni, secondo me.
Io vedo giovani abitanti del cosidetto III mondo muoversi senza il minimo problema tra blogs e chat…….. non a caso la prima cosa che vien fatta dai ragazzi di strada quando si organizzano è un internet point.
Da ciò una visione mia diversa: non penso esista un I mondo alfabetizzato ad internet ed un III succube: in entrambi vedo scarne elites in grado di usare gli strumenti veramente ad altro livello, ed a noi panem et googlensem.
Allora forse possiamo rompere le immagini che abbiamo con uno scambio vero, e diretto, con nodi del sistema solitamente poco conosciuti, e certamente mai interpellati.
Marcella Offeddu
C’è una differenza fondamentale che credo tu non abbia considerato nella tua ricostruzione.
Oggi l’oppressione umana è molto maggiore rispetto al passato, semplicemente è divenuta più subdola. Se diamo da mangiare a tutti, ma leviamo loro ogni certezza, ogni sicurezza di potersi chiamare uomini e di fruire di alcuni di quei diritti che consideriamo fondamentali in seguito a questo termine, allora non ci saranno sollevazioni. Un po’ come lo stupefacente fatto che nei campi di concentramento non ci furono praticamente rivolte; era tutto talmente folle, incredibile, disumano che non c’era modo di opporsi alla follia.
La difficoltà maggiore sta oggi nel riconoscere una nuova condizione di sudditanza, di oppressione che possiamo riunire sotto il concetto di precariato. Precariato nel lavoro, nei rapporti sentimentali, nelle differenze etnico religiose, precariato spirituale. Questa condizione di non appartenenza prolungata fa si che chiunque di noi la consideri momentanea, fa si che chiunque di noi non attenda altro che il fatidico momento per poterla abbandonare. E non c’è possibilità di agnizione di costruire una coscienza collettiva in questo modo. La stabilità è necessaria al cambiamento.
Inoltre la borghesia di oggi, o quel gruppo estremamente eterogeneo di persone che l’ha sostituita ha ben deciso di allearsi alla nobiltà. Le tecnologie informatiche e i network sono sempre più chiusi a livello di potere e la loro apertura di base serve da valvola di sfogo per chi vuole protestare.
Scrivete pure sui vostri blog voialtri, nel frattempo noi conquistiamo il mondo, assumendo il controllo dei nodi del network, sfruttando il lavoro che voi fate. Il controllo dal basso è una nozione affascinante, ma più teorica che altro per il momento.
Il sud del mondo, il povero, l’emarginato vive dunque una condizione diversa rispetto al passato, non è ai piedi della società, ma semplicemente ne è escluso, come puo pensare di ribellarsi ad un qualcosa che non gli appartiene? Il suo unico atto di rivolta possibile è quello di voler entrare a far parte della cerchia e questo sogno puo essere controllato dall’alto grazie alla mercificazione globale del tutto che ci circonda. Si accontentano con qualche specchietto tecnologico gli emarginati di oggi, giusto per poterli emarginare ulteriormente.
Mi viene allora da chiedermi. Dove sarebbe questa borghesia illuminata capace di guidare il cambiamento? Ci sono le condizioni perché essa possa crearsi o semplicemente no?
La rete esiste come concetto esclusivo all’inizio, come rete che limita le connessioni verso l’esterno. Essa nasce quando possiamo definire almeno due settori topologici distinti. Sarà difficile che essa, nonostante tutti i suoi vantaggi possa essere portatrice di reale cambiamento se non partiamo da una serie di principi filosofici di base che ne guidino l’attuazione.
Ed eccoci al punto. Tutto quanto deriva da un universo non tecnologizzabile oggi non è considerato, è fuori moda, non è produttivo.
La strada da compiere mi pare ben più lunga di quanto possa sembrare. Ben venga poi il manifesto, ma sappiamo che prima di giungere ad esso ci vuole la consapevolezza, e l’unità di intenti.
Ben più difficili da trovare e riunire.
dalla semiotica alla politica passando per la dissoluzione di avanguardie la discussione si fa dura, complessa entusiasmante, stancante.
Ripartiamo dalla politica.
Ho letto:
“Mancano gli uomini con le vedute straordinarie. […]Mancanza di cultura? Mancanza di fiducia? Non comprensione delle possibilità.[…]
è teorizzabile una possibilità di modificare il corso delle nostre vite che non dipenda da una nuova tecnologia o da un cambiamento del tasso di sconto di una banca centrale?
C’è ancora la richiesta, la necessità di porsi questi problemi oppure anch’essa è andata persa?[…]
Si tratta di prendere una parte del rizoma e cominciare a dargli la forma che riteniamo giusta, cercando di dargli una tale massa da fargli stabilire sempre nuove connessioni, da fargli attirare le altre parti per gravità.”
il punto è:
che rispetto alle iatture fin qui realizzatesi nella storia la condizione di oppressione dell’uomo è ancora molto lontano dal punto di non ritorno. Non ci sono ancora masse di contadini ridotti alla fame alle porte di Parigi con alla testa una borghesia “illuminata” ad usarla come testa d’ariete per sfondare le porte delle corti aristocratiche.
Anzi la possibilità tecnologica di illimitata connessione da un lato unisce e fornisce una valvola di sfogo, nuovi orizzonti verso i quali orientare la ricerca allontando di fatto il momento del collasso, dall’altro produce l’effetto del divide et imperat. Dipende da che punto di vista lo guardiamo. DAl basso o dall’alto.
Almeno nel nostro angolo di mondo che guarda sempre di più in un monitor che non dietro le sue spalle o sotto i suoi piedi.
Li c’è l’altra parte del mondo (quella che chiamno il sud) che invece gli occhi ce li punta addosso ma non ha borghesia od elite che la possa guidare in avanti. Al massimo, viene assorbita in una melassa teocratica e fondamentalista che ha come scopo il mantenimento dello status quo, quando non un ritorno a condizione ben più arretrata
Il problema, quindi per quanto ci riguarda (occidentali) non è il saper guardare avanti quanto piuttosto imparare a guardare a 360°, a fare un giro di volta su noi stessi per capire dove sia il punto di fuga. Non sappiamo ballare, solo correre.
In questo senso un uso consapevole della rete e del networking potrebbe quello di raggiungere una massa critica che costituisca una borghesia illuminata qui nell’occidente e abbia il coragigo di girarsi indietro e aprire le porte della rete al sud del mondo, ai suoi intellettuali innescando osmosi e devitando che questo approccio etnico e antropologico si trasformi in manierismo da bancarella, da incenso in casa e ponchos indossati per paseggiare nelle vie del centro.
un gruppo che usi il social networking ed abbia l’accortezza di aprire una maglia nella sua rete da dove far entrare il il clandestino, l’extracomunitario, inteso anche come fuori dal comune. Più che di gravità parlerei di differenza di pressione. Di differenza di potenziale.
e per ora mi fermo qui che i miei neuroni protestano.
L’idea del “manifesto” è quanto meno affascinante come quella del neo umanesimo. Io ci sto.
nb.
scrivo queste parole dal Linux Club dove sono venuto a fare un sopralluogo organizzativo.
Tanta bella gente, ottimo il cuba libre e George Michael che no credevo potesse far passare vibrazioni di tal fatta. LA canzone: freedom! Non male+.
Un saluto a tutti.
Giuliana, Gianandrea…orsù!
E uso proprio orsù, parola desueta assai ed arcaica. Come piegare il moi pariginissimo snobismo aristocratico all’arricchita (e neppure per merito suo) biondina d’oltreoceano? Proprio non posso farcela…
dovremo trovare soluzioni alternative.
Nello specifico televesivo direi molto immaginifici gli americani con i loro termini, ma quanto deriva dalla tv quel comportamento? Diciamocelo, anche io sono cresciuto con la tv, come tutti i bambini ci ho passato almeno sei ore al giorno mentre facevo le elementari. Quando stavo da solo a casa, era perennemente accesa, anche quando giocavo. Eppure sono sopravvissuto e ora fatico a ricordare come è fatta dato che in casa non l’ho. e’ un fattore più culturale che legato al mezzo.
Per le ventate di aria fresca… Proporle oggi non sarebbe poi difficile, mezzi e possibilità ce ne sono tanti, eppure ne escono davvero poche in rapporto alle potenzialità. Come mai?
Mancanza di cultura? Mancanza di fiducia? Non comprensione delle possibilità?
concordo con giuliana: non fare lo snob e buttati. alla peggio ti vedremo in uno spot di tre!!!
in quanto alla pigrizia generata dai media, un contributo curioso lo da la lingua americana. i telespettatori alto consumanti di tv vengono definiti couch potatoes (patate da divano), mentre i cristallizati, quelli che non si modificano mai e che mai si modificheranno, vengono chiamati gh ( le iniziali di general hospital, soap andata in onda sin dai tempi del mesozoico)
mi unisco all’interessante conversazione per lasciare il mio soldino. durante il 2006, in un impeto di creatività fino allora frustrata, mi sono lanciata in un’attività artistica un po’ di frontiera. in pratica, ho disegnato una collezione di abbigliamento destinata ad essere interpretata da un gruppo di artisti contemporanei di diversa vocazione (non emergenti, già emersi da tempo). ne è venuta fuori una collezione di pezzi unici notevole, sulla quale abbiamo organizzato una mostra che ha avuto un’ottima accoglienza e un evento commerciale che ci ha dato buone soddisfazioni, anche se siamo ben lungi dall’aver recuperato quanto speso. ma la cosa più bella è stata passare un anno a pensare, a parlare con persone straordinarie, proprio nel senso di fuori dall’ordinario (spesso anche fuori e basta ;). questo è impagabile, e miracolosamente è nato ai tavolini del bar dove mangio un panino in pausa pranzo. non credo che ci sia ancora spazio per i grandi movimenti di pensiero, ma sono fermamente convinta che l’aggregazione sulla base di iniziative piccole (e, ovviamente, intelligenti) possa creare degli spazi importanti di aria fresca.
per la cronaca: la nostra attività non è ferma, ma non abbiamo più soldi da investire, quindi siamo nella tua stessa impasse, Simone. solo che noi c’abbiamo già famiglia, quindi ci rimane solo il mecenate. mentre tu dovresti proprio buttarti su paris hilton, e non fare lo snob 🙂
Non saprei dirti se ci sia qualche “mezzo di massa” che sia stato capace di aumentare la pigrizia. Da bravo intenditor di media potrei dimostrarti in maniera apparentemente scientifica entrambe le cose. In realtà non ne abbiamo idea, ma tendenzialmente parrebbe di no, se non in piccolissima parte.
Credo che la causa maggiore sia da ricercare altrove.
Pur avendone le possibilità tutti, perché oggi solo pochissimi prendono iniziative che possano cambiare le cose?
Cosa ci vorrebbe a creare una nuova avanguardia, avendo idee, volendo essere propositivi e dandosi fiducia l’un l’altro, intellettuale e pubblico (anche se piccolo o minoritario non importa)?
Un manifesto collettivo costruito in wiki che riunisca un certo genere di personalità. Credo meno di tre minuti. Eppure non succede. Il punto di partenza deve essere questo, cercare di capire partendo da qui per proporre soluzioni
simone, meno male che britney spears si è fatta mora!
parlando di cose frivole, la complessità è tale che molti si sentono persi. questo non è un problema da poco. ma anche la pigrizia mentale nella quale siamo precipitati gioca un suo ruolo primario. non vorrei essere banale ( e dai con queste scuse) ma alcuni mezzi di massa hanno aiutato questo processo.
Eppoiscusa; mi hai fatto prendere un colpo! Invece avevo proprio inserito le parole chiave!!!
…ragazza più o meno della mia età e molto ricca, e molto bionda e molto simpatica e interessante…
Già con l’età sforiamo un po’, ma soprattutto mi sa che siano il simpatica e l’interessante a creare problemi. Poi metti che la Hilton sia uns sorpresa eh, chi lo sa!!!
Si capisce che sei di bocca buona 🙂
La Hilton era, ovviamente, una provocazione!
Titti, Paris Hilton non credo la sopporterei più dello stretto necessario! Sarà per il pessimo gusto nella scelta del suo cane!!!
Vedi, da un lato sono d’accordo, dall’altro non saprei. So di non apprezzare molte cose di questa contemporaneità, ma dall’altro sono convinto si possa, si debbano trovare dei modi attuali per trovare quell’altro che manca dall’esistenzialismo se vuoi. Il bistrot parigino oggi puo essere incredibilmente più ampio, alleanze fino a ieri impossibili sono in teoria preventivabili.
Mancano gli uomini con le vedute straordinarie.
Tocca cominciare a cercarli, a crearli, a istruirli. Questa è la soluzione attuale nel momento in cui mancano direzioni precise. Si tratta di prendere una parte del rizoma e cominciare a dargli la forma che riteniamo giusta, cercando di dargli una tale massa da fargli stabilire sempre nuove connessioni, da fargli attirare le altre parti per gravità.
Ma prima bisogna farne sentire, crearne la stessa necessità.
Chiamiamolo Neo-Umanesimo, raccogliamo adepti, stendiamo una carta. Diamo una qualsiasi sformatura se la forma non ha più modo di essere, adattiamoci alla fine dell’avanguardia e chiamiamoci retroguardia o chesso…(il contrario di baricentro?)
L’importante sarebbe uscire dal torpore e dalla sfiducia intellettuale che ci permeano.
E stata questa a decretare la fine delle avanguardie in fondo…
Gianandrea, ti azzardi… Questa parola terrorizza proprio tutti allora!!!
Riprendendo quanto dici credo ci sarebbe da riflettere sulle ripercussioni psicologiche di questo eccesso culturale in cui viviamo. Se non saremo mai che immersi in un’infinitesima parte dell’enciclopedia e neppure in questa saremo in grado di mettere un qualche ordine, quale risultato si avrà sulle persone?
Credo che non sia troppo banale dire che assistiamo, (assisteremo?) ad un’estremizzazione delle forme. Chiunque venga a proporci un ordine, anche fittizio, anche inventato, avrà tra i suoi proseliti la maggioranza delle persone.
Gli unici modi che ci sono per uscire dalla mancanza di significato è quello di crearne, ma solo chi ha una marcia in più degli altri (l’artista, l’intellettuale che sa attirare fiducia?) e chi mostra di averne semplificando e distorcendo la realtà stessa (il politico populista) sembrano oggi essere capaci di dare risposte.
Con la differenza che l’intellettuale fornisce risposte complesse, spesso inattuabili e pochi sanno seguirlo, mentre la maggioranza dei sondaggi si sente al sicuro in maniera ignorante e colpevole con chi, come il caro Sarko non dice nulla e nons a gestire nulla, ma lo fa con apparente chiarezza e sicurezza.
P.S.
Hai già contattato Paris Hilton?
Complice senz’altro l’atmosfera parigina nella quale sei immerso, hai espresso il disagio di chi non si ritrova in quello che questa contemporaneità comporta. La città che ti ospita è stata non a caso culla di correnti culturali e pittoriche. Nei caffè e nei salotti di un tempo uomini con visioni straordinarie dibattevano sul senso dell’essere e del mondo. Si alleavano. Molti sono divenuti celebri, anche protetti dal mecenate di turno (figura ormai introvabile).
Anche Parigi, probabilmente, non è più quella di un tempo. Dopo l’Esistenzialismo, cos’altro?
Il tuo disagio è anche il mio e di tanti che vorrebbero maggiormente valorizzata la propria intelligenza. Ho già accennato, in altri contesti, del bisogno di un neo-umanesimo.
Ciao
TZ
mi azzardo a lanciare un commento. credo che uno specchio di questo vagare senza una direzione che non sia una direzione personale, trovi ampia conferma nel mondo dell’arte contemporanea.
un mondo senza confini visibili nel quale il problema principale è la definizione di cosa sia e cosa non sia arte: se io sputo su un muro sono un pirla, se lo fa tracy emin è un’opera d’arte.
e non solo ma stiamo parlando di un contesto artistico nel quale significante e significato possono non coincidere per nulla e il nuovo significato ti porta in un territorio nel quale solo l’artista ti può guidare. non il critico, non il gallerista. e questo pone un successivo problema: come posso fidarmi di un artista? come so se sono in relazione con un artista?
e qui si ritorna alla direzione personale e alla mancanza di direzioni condivise, visibili e selezionabili. in questo ultimo contesto, si vede poi come in politica si cerchino dei catalizzatori, degli uomini guida ( c’è in giro un agghiacciante sondaggio di repubblica, nel quale riciccia l’uomo forte alla sarkò). ho divagato troppo?