Ogni giorno che passa vedo emergere definizioni sempre più bizzarre del sema legato al “Terrore”.
L’ultima è questa che riprendo dall’Ansa. A partire dal nuovo anno saranno applicati nuovi controlli (idioti come i precedenti, ovvio) antiterrorismo nei confronti di tutti i non giapponesi che si recheranno o che risiederanno nell’arcipelago.
“Chiunque sarà considerato un terrorista o si rifiutetà di sottoporsi a questi controlli sarà respinto e deportato”.
In primis non capisco come avvenga l’etichettatura di terrorista: forse il viaggiatore non sta simpatico al poliziotto di turno? Forse ha troppa barba? Forse procederanno come fanno ora seguendo improbabili incroci di dati? Forse si limiteranno alla statistica? Ma soprattutto, anche se fossero in grado di capirlo davvero, come si fa a mettere sullo stesso piano qualcuno che difende la propria libertà personale da controlli non necessari con un terrorista? Deportato poi? (avete presente cosa è legato di solito al concetto di deportazione no?)
Questa confusione semantica tra il piano della libertà personale e quello del controllo degli individui, tra il pericolo e lo spazio personale delle persone mi sembra divenire ogni giorno più rischioso e pericoloso. Il vero problema comunque resta il fatto che la popolazione ama essere schedata e controllata, che desidera tutti questi controlli che limitano volontà e libertà.
Purtroppo è sempre più facile cedere alla tentazione delle mura attorno a casa, del rinchiudersi tra i cari, delle piccole gioie quotidiane mentre si procede a passo spedito verso il nulla.
L’idealismo comunitario non è più di moda ormai, meglio un po’ di volontariato dietro casa per poi relegare il resto della propria vita a qualche saggio organismo paternalista mentre si aspetta il delirio climatico, l’ultima pandemia o l’esaurimento delle risorse. Troppa la fatica del soffrire, del preoccuparsi autonomamente, purtroppo sola motivazione utile a prendere coscienza e cambiare le cose.