Ieri è partita una bella discussione sull’information overload. Se ne è parlato da diverse parti, e non vedo perché non dovrei dire anche io la mia. Parto da una citazione da Paolo Valdemarin:
”Ho però questo ideale flusso di informazioni, quasi perfettamente canalizzato nel mio aggregatore, che guardo quando ho tempo (questo si anche dal cellulare) e da cui “pesco” le informazioni rilevanti. Avete presente il documentario con gli orsi che prendono al volo i salmoni nel fiume? Non è più necessario prendere tutti i salmoni che passano, l’importante è selezionare bene il fiume ed essere sicuri che quando serve i salmoni ci siano”.
Non credo sinceramente che la metafora possa adattarsi. Cercherò di spiegare brevemente perché.
L’attenzione, la concentrazione e la stessa modalità di utilizzo del cervello umano agisce a due livelli differenti, per quel che ne sappiamo al momento attuale. Il multitasking, ovvero la dispersione dell’attenzione del nostro cervello è produttivo e possibile nel momento in cui vengano contemporaneamente attivate parti differenti della nostra corteccia cerebrale, ragion per cui possiamo compiere più attività allo stesso tempo senza perdere in produttività. Nel caso invece che siano le stesse aree ad essere chiamate in causa occorre che la mente disattivi la funzione precedente per attivare la nuova. Non c’è, fisiologicamente, altro modo. Ovviamente questo processo ha una tempistica non comprimibile e questo porta a concludere che il multitasking spinto possa in questo caso portare ad un’effettiva perdita di concentrazione e di produttività.
Se quindi l’attenzione scostante à attività diverse è da sempre tipica dell’uomo (anche se maggiormente sollecitata nel nostro tempo), l’attenzione scostante a diverse manifestazioni della stessa attività non ci è propria. E non porta che una registrazione meccanica e superficiale delle informazioni presentate.
Il procedimento critico di apprendimento, ad esempio, quello che cercano di insegnare a scuola per intenderci, è la prima vittima di questo atteggiamento spensierato della multiplicità. Gli studenti che multitaskano sembrano presentare ai ricercatori una maggiore difficoltà ad apprendere in maniera sequenziale, ad acquisire maggiori dettagli sull’argomento e soprattutto a utilizzare la capacità di astrazione tipica dello spirito critico.
Essi, al contrario, sembrano particolarmente ricettivi verso gli stimoli esterni diretti e semplici. Insomma, se volete stare tranquilli al momento della guida consiglio un ragazzotto sveglio e informatico, ma se volete parlare di filosofia evitatelo accuratamente, non solo non sarà preparato, ma probabilmente avrà serie difficoltà a sostenere un ragionamento totalmente astratto e rigoroso.
Non mi metterò di certo a sostenere che una metodologia di apprendimento (ma ormai dovremmo dire uno stile di vita) sia migliore dell’altra, certamente esse sono distanti anni luce.
Tornando alla citazione fatta sopra di Paolo mi viene allora da pensare che il suo errore risieda nel considerare il modello attuale come definitivo. Abbiamo infatti abitudine a considerare le cose nel breve periodo e non nel medio o nel lungo. Oggi la meccanica della comprensione del flusso tramite il filtro della ridondanza si è già modificato. Prima c’era qualche istituzione che svolgeva questo compito, ora ad esse si è affiancata la schiera degli utenti che, grazie alla loro massa, riescono a meglio gestire l’aumentata massa di informazione. Dobbiamo pero considerare come essi vengano da una società precedente, vengano appunto da una scuola in cui il multitasking non esisteva, e hanno un meccanismo di formazione critica e approfondita, non disinvolta e superficiale (i termini non hanno valore di giudizio, ma lo stesso di cui sopra).
Il filtro collettivo di conseguenza funziona proprio grazie alla capacità di astrazione acquisita nel vecchio mondo e che le prime ricerche cognitive dimostrano in via di estinzione nei giovani multitasker. I due modelli allora non possono che vivere insieme e questo non potrà che succedere se smetteremo di tessere le lodi del “far mille cose alla volta” per quelle del “farne una andando piano”, tanto la prima verrà comunque naturale.
Davvero l’importante è selezionare il fiume più apprezzato da tutti gli altri, secondo una logica che è quella delle società animali complesse (formiche, termiti e chi più ne ha più ne metta) oppure l’uomo ha qualcosa di diverso da queste? Magari pensare che oggi non mi va il salmone e potrei andare a rubare il miele al turista di passaggio, oppure potrei scrivere un’odea al salmone mentre mi gratto la schiena su una tronco, che so… Ecco, l’unica differenza tra la nostra società e la loro è proprio quella capacità di astrazione, di critica, la ricerca metafisica fine a se stessa. E potrei essere informato su tutto quanto di rilevante succede nel mondo, ma non servirebbe a nulla se perdessi la cognizione di pensare al di là dell’evenemenzialità delle cose.
Non amo ogni tipo di riduzionismo. E conosco già un sacco di persone che non riescono a leggere un mio post perché troppo lungo, complesso e tirante in causa conoscenze che nulla hanno a che vedere tra loro. Il rischio, come vedete è già presente, e occorre salvaguardare la biodiversità del pensiero oltre a quella naturale.
Volete fare un test?
Andate in libreria e comprate un libricino di Heidegger, “Che cos’é la metafisica”.
Poi venite qui e postate nei commenti il modo in cui la vostra lettura è andata. Sappiate che si tratta di una conferenza pubblica, non una lezione per esperti, quindi tutte le persone di una certa cultura dovrebbero poterla capire. Eppure già oggi non è più una cosa cosi scontata.
Diciamo che non ho fatto confusione, ma che mi sono espresso male, comunque anche io sono preoccupato dai pericoli dell’aggregatore per le ragioni che citavi.
Maurizio, mi pare ci sia un attimo do confusione in quel che dici…
La società non si sta affatto spostando verso i contenuti on demand. I contenuti sono, ovviamente sempre stati on demand nel senso che ciascuno di noi ne ha usufruito in maniera personale e li ha interpretati in maniera personale.
Quello che sta cambiando piuttosto è che scelta della rilevanza o meno ora non viene più fatta da una fonte creata appositamente per lo scopo, ma viene fatta in base ad algoritmi di calcolo e al lavoro dei tanti.
Resta il fatto che prendere questo lavoro non significa imparare a scegliere e poter proseguire la catena. L’on demand che ci arriva da google fa disimparare le tecniche della ricerca e l’approfondimento dei tempi. LA complessità ne risente.
Il fach idiot è il risultato di questo metodo. Tutti possiamo imparare, memorizzare tutto su qualcosa senza avere le qualità intellettive per gestire il resto. Nelle università ad esempio va estremamente di moda la commistione di discipline già oggi, bisogna saperne gestire più d’una, altrimenti diventa dura. Ma nella vita quotidiana?
L’aggregatore da questo punto di vista è un male, crea un’illusione di sapere, abitua alla non ricerca, fa disimparare la complessità del mondo riducendola ad un flusso che viene creato proprio grazie a questa complessità.
Grandissimo rischio della rete, al di là della retorica utopistica del mondo sempre più luminoso. Ricordiamoci che la ricchezza della rete di oggi esiste grazie al metodo di pensiero di ieri. Ed essa non sembra saperlo riprodurre, quindi dobbiamo salvaguardarlo
Mi sembra che sia andato un po’ fuori tema, pur affrontando un importante tema. Il problema che vorrei sottolineare è quello della rilevanza, che in una società progressivamente che si sposta su contenuti on demand, crea quello che i tedeschi chiamano il fach idiot, ovvero l’idiota specializzato che tende a sapere tutto di un solo argomento. Rilancio quindi sul tema complessità e rilevanza, in più quante informazioni scappano dall’aggregatore che potrebbero essere potenzialmente interessanti ed io non lo so? Il tuo discorso meriterebbe un approfondimento a parte, ma io forse forzatamente volevo riprendere il tema che reputo importante.
I agree 🙂
Non temere Stephen, lungi dal voler far l’elogio anche del cognitivismo, che non amo troppo anche se sono costretto a lavorarci.
Come dicevo nel post pero, nel breve periodo possiamo affidarci solo a questo tipo di esperimenti che hanno mostrato come ci sia differenza nelle parti del cervello utilizzate nei due casi e che hanno mostrato anche come ci siano le conseguenze osservabili di cui sopra.
La conclusione, ovvero che le due cose siano strettamente legate invece è culturalistica e tutta mia. Non dimostrata quindi. Ma mi pare una buona ipotesi di lavoro al momento…
Concordo con l’elogio della differenziazione, del pensiero divergente, della lentezza e in definitiva della complessità.
Trovo però riduzionistico appellarsi alla descrizione del funzionamento cerebrale. L’abbiamo già commesso millanta volte questo errore (uno su tutti: l’apprendimento del linguaggio…), non ripetiamolo.
Validissimo invece l’argomento delle conseguenze osservabili: diminuzione delle capacità di leggere, pensare, produrre.
Portiamola avanti questa discussione!