Stavo scrivendo un post sulla cascata di soldi che ha cominciato a piovere sui blog, su come essi ne verranno cambiati (forse) e via dicendo. Poi mi sono messo a pensare a tutt’altro mentre leggevo “Morphogenèse du sens I” di Jean Petitot. Il post, l’altro, lo finiro per domani, o per più tardi, poco cambia, ora si parla di altro.

Pensavo che avrei dovuto fare l’ingegnere da grande. Perché fare l’ingegnere fa portare a casa uno stipendio non da fame come quello che mi aspetterà dopo vent’anni di studi, perché fare l’ingegnere è facile; consiste nell’avere dei problemi limitati da risolvere e nel cercare di farlo, con risultati che possono essere più o meno buoni. Un po’ come tutti i lavori che potrebbero essere svolti dai cosiddetti “tecnici”.

Invece mi ritrovo alla rincorsa del senso. Sia come professione, se lo studio puo essere considerato una professione, sia nel tempo libero, qui sopra come attraverso la scrittura.

Una delle prime cose che si impara, quando si comincia a correre dietro al senso, è che non si arriverà mai al traguardo e che ci sarà sempre una distanza incolmabile tra la migliore teoria per spiegarlo e quanto succede in realtà. E’ una cosa complessa, deriva un po’ da Kant, un po’ dalla fenomenologia tedesca dei primi del novecento, un po’ dai metodi della biologia.

Eppure, nonostante questo presentimento di fallimento sicuro si continua a corrervi dietro a questo benedetto modo in cui gli umani vedono e significano la realtà, sforzandosi di spiegarlo in qualche modo.

Ora, tutto questo potrebbe non c’entrare nulla a una prima visione con internet, blog e tutta la robaccia di cui si parla qui sopra di solito, ma a volte bisogna anche essere lo spirito critico di se stessi e porsi qualche domanda extra.

Secondo me l’ingegnere oggi è il tecnico, tecnico nel senso riduttivo del termine, quello che segue la tecnica, che è dedito alla tecnologia, senza troppo pensare al perché della stessa. So che non rappresenta gran parte di chi appartiene alla categoria, e so che sono ingiusto, ma è l’immagine che una parte di loro riesce a dare, e come sempre i peggiori sono quelli che fanno più scena.

Stiamo correndo tutti dietro a questa utopia della rete, che renderà i nostri tempi magnifici e progressivi (chi non coglie la citazione corra ad informarsi!) e non ci chiediamo a che pro tutto questo.

Ieri, leggendo che secondo Time l’uomo dell’anno è il comune internauta pensavo a quante novità ci siano state in rete nell’ultimo anno che oggi usiamo quotidianamente. Poi mi è venuto in mente che le usiamo senza rifletterci neppure ormai, passiamo da un software all’altro, da un servizio all’altro cercando di soddisfare la nostra bulimia di novità senza riuscire a soddisfarci.

La rete moltiplica le possibilità: possiamo essere contemporaneamente in più posti, vedere musei senza muoverci, parlare con più persone alla volta, e lo facciamo ogni giorno. Senza dedicare tempo a chiederci invece il perché lo facciamo.

Oramai si parla di immersione digitale, di sostituzione digitale (Cosa che non credo stia avvenendo e che comunque non condividerei), si parla di costruire una seconda vita virtuale da affiancare a quella analogica. E non sappiamo dire veramente perché. Non riusciamo a trovare un verso alla vita che abbiamo e vogliamo aggiungerne una seconda?

L’utopia tecnologica e tecnologizzante è l’ultimo sogno che pare essere rimasto a molti di noi, quello di moltiplicare le proprie capacità, di potere, potere sempre di più, in maniera caotica tuttavia, disordinata, metastasica, deumanizzata.

Mi viene allora da fermarmi un attimo in un giorno in cui i miei dubbi metodologici sono estremamente somatizzati, in uno di quei giorni in cui i problemi teorici che incontro nella mia ricerca li sento a pelle, mi infastidiscono, e mi viene da pensare alla rincorsa verso il “non so cosa” che vedo fare a molte persone che conosco. E mi convinco sempre di più che prima di arrivare al web 2.0, al web 3.0 e via dicendo sarebbe sempre necessario disporre di uno spirito critico 2.0 e numeralmente superiore. Eppure questo non sta accadendo, non almeno con la stessa velocità con cui corre tutto il resto.

Le possibilità che allora ci offre l’ingegnere, sono davvero risolutive, daranno all’uomo la sua risposta o semplicemente gli toglieranno il perché della domanda?

Sono forse solo un vecchio romantico (il che sarebbe molto grave data la mia età), ma ho una certa predilezione per le battaglie perse, quelle che lo scontro è impari dall’inizio e si sa già che alla fine… E mi fermo. E pongo dubbi.
Termopile
08/12/2006
Colpevolmente ho abbandonato
Una poesia a guardia del tuo ricordo
In questi giorni deformati dal gelo.
Personale, infinita Termopile
Di ogni giorno, di tutte le ore.
Solo bastione di senso al vuoto
Del rumore che mi hai lasciato
Sola estenuante attesa
Di un Efialte in ritardo

12 thoughts on “Dovevo fare l’ingegnere…”

  1. Meno male che qualcuno si ferma a pensare. Il progresso tecnologico è talmente rapido che spesso cerchiamo di inseguirlo a prescindere.
    Noi non usiamo la tecnologia, ma rischiamo di farci usare. Se le tecnologie sono solo abilitanti e ci permettono di fare, allora poniamoci il problema di dove desideriamo andare e con chi, e poi partiamo. In un viaggio è tanto importante saper dove andare, ma anche l’esperienza del viaggiare. Non togliamocela.

  2. @ Antonio

    Manno, non puoi dirmi questo, sai benissimo che stiamo in terra solo per crucciarci leopardianamente sui nostri limiti. Altro che fare e fare, pipa in bocca e tutti sotto l’albero a riflettere. Non lavori da filosofo?

    Non temere a Roma ti coopto e ti costringo a seguire il moi scrauso intervento stavolta!

    @ Giuliana

    Veramente io ero su questa rotta anche prima di infilarmi nella trappola semiosica delle cipolla. Deve essere genetico, potrei assumere un ingegnere e farmi studiare, chi lo sa…

    Più che altro ecco, che si mantenga un po’ questa attitudine, che mi pare si stia un po’ perdendo, leggevo ieri che qui in francia vogliono chiudere il liceo con indirizzo letterario perché nessuno lo fa più. Tutti scientifici o economici.

    Ci sarà sempre qualcuno che sentirà l’esigenza di fermarsi? Probabile, ma speriamo ci sia sempre qualcuno disposto ad ascoltarlo!!!

    @ Gianandrea

    Io da piccolo ero indeciso tra il contadino e la guardia forestale.

    Al momento di scegliere il liceo tra il classico e lo scientifico sperimentale in fisica e matematica che ho fatto

    All’università tra fisica delle particelle, chimica industriale, storia contemporanea e semiotica
    Non oso pensare cosa faro da grande!

    Pero ti diro, nel bar non si sta mica male e ricorda che, se non fosse pieno il mondo di persone che scrivevano fogliettini che nessuno leggeva, beh, nessun ingegnere avrebbe mai pensato di poterle mettere in contatto. Sarebbe mancata l’utilità!

  3. mai voluto fare l’ingegnere, nemmeno per un attimo. eppure senza di loro, ma in realtà senza quelli che erano ingegneri ma non si sentivano tali, oggi non saremmo in contatto, scriveremmo le nostre riflessioni su pezzi di carta e ce le terremmo per noi. faremmo i filosofi da bar, forse. beh a parigi viene già meglio che in altre città. sono molto d’accordo con giuliana su quello che chiamerei l’effetto cipolla dell’attività analitica.

  4. lo studio della semiotica fa spesso questo scherzo. sei lì che togli strati su strati al linguaggio nell’infinita ricerca del senso, e quello ti sfugge sempre, ti lascia solo “effetti”. anche se tu facessi l’ingegnere, anche se tu prendessi altre 10 lauree alla ricerca di certezze, non troverai mai il senso, a meno di un’abiura verso quello che stai facendo ora. per fortuna.
    chi lo sa dove ci porterà la rete, e i 2.0, 3.0 e via via numerando. quello che è certo è che ci sarà sempre qualcuno che sentirà l’esigenza, in un dato momento, di fermarsi a pensare. e quindi siamo salvi.
    un saluto

  5. Bisogna praticare un sano agnosticismo tecnologico per cui, si utilizza quel che c’è senza preoccuparsi troppo!
    Certo la coscienza di star utilizzando qualcosa di grande deve sempre essere presente perché la scontatezza uccide l’uomo, ma soffermarsi su filosofeggiamenti, per me, è eccessivo.

    si..bisogna pensarci, così di sfuggita, veloci veloci, ma importante è farefarefarefarefare!
    Le domande che ci si può porre sono inutili perché irrisolvibili.
    Nulla ha senso quindi bisogna fare finché se ne ha voglia.
    Poi..che la noluntas si impossessi di noi!

    P.s. penso di esserci al Barcamp di Roma e se nn mi chiami prima di salire sul palco, ti prometto un’invasione tipo cavallo pazzo!
    😉

  6. @ Sly
    Dovevamo proprio fare gli ingegneri, anzi, appena finisco questa poi prendo una laurea in fisica, una in matematica, una in ingegneria e basta con tutti questi pensieri, meglio un po’ di calcoli !!!

    Cosi mi riposo da tutti questi benedetti perché…

    @ Carla
    Beh, da grandi? Ci penseremo quando avremo tempo! Siamo troppo impegnati a fare altro in questo momento!!!

    Resto dell’idea che…una seconda vita? Un’altra?

    Se già per questa non arrivo a tirarci fuori le zampe se non mi danno la giornata da trenta ore che ho chiesto da tempo.

    E questo, ovviamente, anche nei giorni in cui non passo neppure un minuto a pormi dubbi esistenziali.

    Resto convinto che oggi tuttavia l’unica attività rivoluzionaria che ci sia concessa sia il silenzio, la lentezza e la terroristica tattica di chiedere alla gente il perché fa le cose.

    Presente come sono terrorizzati quando gli si fanno domande con tendenza metafisica?

    Altro che Bin Laden, dovremmo sperimentare la bomba Kierkegaard o Wittgenstein, sarebbe il macello finale definitivo…

  7. Quando a noi comuni mortali concedono un po’ di tecnologia (sì perchè ce ne sarebbe già tanta altra, di nuova e stravolgente, che ci centellineranno però nei prossimi anni), in questo caso il web 2.0, c’è sempre un perchè. Io ritengo i blog un buon strumento di comunicazione (per molti) ma anche un “ammortizzatore socio-esistenziale” (per tantissimi), un modo per incanalare energie ed intelligenzeche – se inespresse – potrebbero diventare meno innocue. Riflettici.
    Ciao
    TZ

    p.s.
    ho una passione per le metafore, le teorie e la filosofia, da qui il mio commento alla tua riflessione.

  8. La tua domanda: “Non riusciamo a trovare un verso alla vita che abbiamo e vogliamo aggiungerne una seconda?” mi ha strappato un sorriso 🙂
    Se può consolarti, non ho ancora deciso cosa farò da grande 😉
    ma ti dirò che mi “intriga” quel “fermarsi” e quel “porsi dubbi” 🙂

  9. Anche io dovevo fare l’ingegnere…
    Da piccolo sognavo di fare l’ingegnere… poi ho scoperto che la matematica non faceva per me…
    indi ho pensato “diventerò un astronauta…”

    Ora faccio tutt’altro… son finito a comunicazione e moda… : )

    Però mi destreggio ancora con l’ingegno, e spesso e volentieri vago in mondi lontani…

    Ora, a parte tutto, interessante quello che fai notare sul fatto che molto spesso facciamo molte cose senza chiederci perchè…
    E il perchè forse c’è…
    quando incominciamo a chiederci perchè, spesso non troviamo una risposta… e quando non troviamo una risposta a quello che siamo e facciamo non stiamo bene.

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