Appena rientrato nella striminzita mansarda parigina mi accingo ad elaborare i post relativi al BarCamp di ieri a Torino. Un post per la mia presentazione, un post all’esperienza del BarCamp, un post alla città di Torino, a come si è presentata nelle poche ore della mia visita. Parto proprio da lei.
Premessa fondamentale è che a Torino non ero mai stato. Ho approfittato allora di questa occasione per prendermi due giorni di fuga dalla Ville Lumière e andare nella prima capitale del fu regno d’Italia per vedere di persona qualche volto noto al massimo come nome.cognome e per lanciare qualche sguardo curioso ad una città che ancora mancava nella brevissima lista dei miei viaggi (in effetti ci voleva poco, lo so!)
A posteriori aggiungerei un purtroppo davanti al fatto che sono arrivato in Tgv venerdì sera e sono ripartito questa mattina presto, davvero mi sarebbe piaciuto poter camminare un po’ di più per le strade e cercare di comprendere quello spirito riservato e un po’ decaduto che mi pare la caratteristica principale di questa città. Ma biglietti e impegni non si lasciano modificare cosi facilmente…
Lo stacco tra Francia e Italia si avverte davvero poco se ci si ferma al Piemonte e a questa città adagiata in maniera cosi tranquilla, costruita secondo una gestione degli spazi talmente ampi da non avermi permesso di trovare analoghi nelle altre città italiane che ho visto, cosi monumentale se vogliamo, ma anche tranquilla, quasi lasciata da parte dal progresso frenetico e dal rumore degli ultimi anni. Nobile e decaduta forse, con inaspettati angoli di vitalità.
Ma non vorrei fermarmi sui soliti monumenti , su quelle piazze e sui quei portici in cui i Torinesi erano più presenti ieri notte che durante il giorno, quanto piuttosto parlare di quei due viali che mi sono fatto a piedi per giungere sino all’Hiroshima, dove poi si sarebbe svolto il sabato di campeggio tecnologico. Tutta la parte a sud di Torino, quella che si schiaccia verso il Po e deve la sua configurazione agli anni d’oro dell’industrializzazione della Fiat è stata una miniera di emozioni.
Emozioni non troppo giustificate forse, non nutrendo io una particolare predilezione per le rovine industriali, ma cosi cariche del loro passato, della loro funzione sociale, più economica, da incutere una certa forma di rispetto. Ogni vetrata infranta a rimandare al lavoro che vi era dietro, le quattro bandiere granata che ancora sventolano sul prato che una volta era il vecchio Filadelfia e di resta solo un pezzetto di curva, il villaggio olimpico per le Olimpiadi invernali del 2006, con i suoi colori in mezzo alla nebbia. E quell’atmosfera cosi sobria, regale, un poco inadatta alla nostra visione di Torino, oggi.
Ricordo con piacere anche la scoperta dei Murazzi e di questa Torino di notte, del mercato davanti la casa delle mie gentilissime ospiti e di quell’uomo che ha cominciato a montare la propria bancarella alle quattro in punto del mattino (si notano le poche (quasi nulle) ore di sonno???), nel bel mezzo del vuoto più assoluto.
Tutte queste sensazioni che sono evaporate poco a poco sul treno del rientro, passando la galleria ferroviaria in corso di allargamento, lasciando alle spalle i forti militari costruiti durante il fascismo, passando il confine. La Francia mi ha riaccolto, col sole e i prati del sud e la pioggia di Parigi. Domani è di nuovo lunedì, ma ho preso un impegno prima di partire, forse anche due. Il primo mi riporterà presto a Torino per un piccolo album fotografico, il secondo invece vedremo.