Tutta la divagazione sul personalismo all’interno della lettura storica non era il punto principale del discorso ed ha assunto una certa rilevanza solo in funzione dell’intervento successivo di Gattostanco. Il punto in questione che non dobbiamo dimenticare resta a mio avviso il fatto che Granieri carichi la realtà passata di qualche ombra di troppo al fine di far risplendere maggiormente la novità. Come dargli torto, scrivendo un libro sulla società digitale e sulle prospettive del futuro, credo sarebbe naturale per ciascuno di noi cercare di mostrare il maggior divario possibile rispetto al prima. Resta il fatto che, per onestà intellettuale, io avrei posto la questione non come “ecco tutte le differenze rispetto al passato…”, ma con un più misurato “oltre a tutte le somiglianze che abbiamo detto ci sono anche aspetti che saranno modificati nel seguente modo…”. Semplicemente questo.
Kurai riprende finalmente questo punto nel migliore dei modi; la voce della gente è più forte, per chi è disposto ad ascoltarla. Senza tuttavia che questo avvenga in maniera automatica, senza che questo debba avvenire per forza, senza che questa sia la strada su cui siamo avviati. In un libro sulla società digitale io cercherei maggiormente la misura, i timori, gli errori e meno qualche certezza o la visione idealizzata del sistema. Per superare i problemi abbiamo bisogno di conoscerli. Abbiamo bisogno di libri difficoltosi e colmi di difficoltà.
Per quanto riguarda invece la teoria dei media più strettamente accademica, difendo la mia posizione di grande libertà del pubblico. Probabilmente per via della mia formazione semiotica sono disposto a dare grande importanza al momento dell’interpretazione, ma soprattutto sposto il potere decisionale dei media nelle nostre società dall’alto alle sezioni mediane della macchina produttiva. Mi spiego rapidamente: critico teoria ipodermica e spirale del silenzio perché sono teorie che, pur interessanti, non sono mai state dimostrate empiricamente. Ogni tentativo è fallito in maniera più che misera. Da qui la mia sfiducia.
Per quanto riguarda la descrizione mediatica degli avvenimenti invece mi chiedo quanto essi siano effettivamente gestiti dall’alto e quanto invece dalle aspettative che chi produce informazione sente da parte del pubblico, quanto dalle sue limitate possibilità, quante dal contesto socioculturale in cui esse sono prodotte e quante infine davvero da questi fantomatici vertici che deciderebbero cosa dovremmo ascoltare e pensare durante le nostre giornate.
La mia opinione è che la stragrande maggioranza delle manipolazioni siano involontarie e non spariscano neppure nei media comunitari digitali. Ovvero il blog, la rete non ne sono esclusi. Qui rimando ad un mio pezzo pubblicato lo scorso settembre sulla webzine Agliincrocideiventi.it in cui tratto brevemente il tema, ma probabilmente ci ritornerò sopra a breve, per chiarire ulteriormente e allargare la discussione. Avere un buon feedback non sarebbe male, se possibile.
Sono del resto totalmente d’accordo con la conclusione finale di Kurai. La rete secondo me non innesca un processo diverso rispetto al media tradizionale, ma espande in maniera spropositata le possibilità multidirezionali del processo comunicativo. In questo modo ci viene offerta una reale possibilità di confronto, di gestione dell’universo simbolico costruito dalle notizie. Ma è un processo che, pur meno sviluppato, è alla base di ogni forma comunicativa, e non è esclusiva della rete. Anche qui il punto deve essere ben chiaro per uscire dall’idealizzazione della rete, per inserirla nel mondo reale e notare come essa sia un formidabile sviluppo, ma pur sempre sviluppo dei media già esistenti. Essa non nasce dal nulla e non si sviluppa a parte rispetto alla società tradizionale. Occorrerà sempre ricordarlo in questo primo periodo di troppo facili entusiasmi.
Ripeto ancora, secondo me il libro di Granieri è quanto mai utile per tirare le fila della situazione attuale, utile per la possibilità di discussione, ma resto del parere che preferirei leggere cosa non abilita dell’uso sociale di una tecnologia, perché quello che abilita lo sappiamo, lo vediamo ogni giorno, lo viviamo sulla nostra pelle così come io sto scrivendo queste righe.
Problemi come la visione dei media tradizionali di fronte ai nuovi, l’attendibilità, della cittadinanza digitale e di quella classica, l’accesso alle nuove possibilità sono tuttavia lasciati in secondo piano proprio ora che dovrebbero essere la nostra quotidiana preoccupazione. La società digitale costituisce una buona panoramica, come del resto non mi sono mai stancato di dire, ma è una foto fatta durante il sorgere del sole e lascia tante difficoltà in ombra. E forse sarebbe necessario concentrarsi proprio su quegli angoli bui che restano a lato, sostituendo al progetto in agenda della rete perfetta il brogliaccio della nostra attuale rete perfettibile. Che gli errori siano ben visibili affinché le cose comincino a funzionare come dovrebbero.
Da leggere al di là della retorica, ma altrettanto da discutere e criticare laddove crediamo manchi alle sue grandi possibilità.