Ritrovo e allego un articolo scritto da Salvatore Settis pubblicato qualche giorno fa su Repubblica.
Non condivido particolarmente l’invito ad agire sulla legge Moratti e il modo in cui l’invito viene proposto. Questo perché non mi pare che venga a toccare i punti fondamentali del problema ovvero la meritocrazia e il localismo eccessivo tipici del reclutamento universitario italiano.
Ah, inoltre, Settis insiste come in passato sulla necessità di introdurre una terza fascia di professori. Certamente giusto, ma forse non si considera che questa fascia già esiste da tempo: i ricercatori. I ricercatori svolgono attività didattica esattamente come i professori. Invece di inventare una terza fascia, perché non riconoscere i propri diritti a coloro che già da anni svolgono l’ingrato compito?
In ogni caso ecco il testo dell’articolo:
La fuga dei cervelli e un governo impotente
di Salvatore Settis
L’assegnazione appena annunciata dei primi fondi di ricerca del Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC) merita una seria riflessione. Quello di ERC e’ il piu’ innovativo meccanismo per la ricerca in Europa, basato esclusivamente sul merito e garantito da una rigorosa peer review; e se quest’anno il bando (riservato ai giovani, entro nove anni dal dottorato) era di 300 milioni di euro, i bandi successivi cresceranno di anno in anno fino a coprire la cifra complessiva di sette miliardi e mezzo di euro.
L’analisi dei risultati dei concorrenti italiani e’ la miglior cartina di tornasole per giudicare lo stato della ricerca e dell’universita’ in Italia, la cui crisi (irreversibile?) e’ sotto gli occhi di tutti. Il confronto con l’Europa e’ vitale per capire di che morte sta morendo la nostra universita’.
Per questo primo bando ERC si e’ avuto un numero altissimo di domande, oltre 9000, distribuite fra i vari Paesi in modo ineguale. Solo 300 i vincitori, appena uno su trenta (non si tratta di borse di studio, ma di fondi di ricerca che possono raggiungere i 2 milioni a testa). Nella lista dei concorrenti, l’Italia figurava al primo posto (1600 domande contro le 1000 della Germania, le 800 della Gran Bretagna, le 600 della Francia). Buon segno? No. Se tanti ricercatori italiani si sono rivolti all’Europa, e’ perche’ possono contare in Italia su risorse misere, a confronto di quelle dei loro colleghi tedeschi, olandesi, francesi. Ma alla prova dei fatti quale e’ la percentuale di successo degli italiani? Su 300 vincitori, gli italiani sono 35, contro 40 tedeschi, 32 francesi, 30 inglesi.
Risultato comunque notevole: l’Italia, prima per numero di domande, e’ seconda in Europa per numero di vincitori. Anzi, se si guarda alla “pattuglia di testa” (i 53 ricercatori che hanno avuto il punteggio massimo, 10 su 10), l’Italia e’ prima con 9 vincitori contro i 7 di Regno Unito e Germania, i 6 di Francia e Spagna. Dunque: l’Italia ha offerto a questi studiosi (eta’ media: 35 anni) un adeguato ambiente di ricerca.
Ma questa immagine positiva si capovolge se si guarda al futuro. Proprio perche’ cosi’ altamente selezionati, le scelte che i vincitori stanno facendo sono molto significative. La piu’ importante di queste scelte e’ dove essi intendono svolgere la propria ricerca, portandosi dietro in “dote” i fondi ERC (mediamente, un milione di euro a testa). Ed e’ qui che l’Italia subisce una pesante sconfitta. Dei 35 vincitori italiani, solo 22 resteranno in Italia, gli altri 13 se ne vanno in Paesi con migliori strutture di ricerca, e dall’estero ne arrivano solo 3 (due polacchi e un norvegese). Il confronto con la Gran Bretagna e’ devastante: dei 30 vincitori inglesi, 24 restano nel Regno Unito; ma ad essi si aggiungono ben 34 ricercatori di altri Paesi (tra cui 6 italiani) che hanno scelto di trasferirsi in Gran Bretagna. Per citare solo un altro caso, in Francia restano 27 vincitori francesi su 32, ma ne arrivano altri 12 da altri Paesi (tra cui 2 italiani). Insomma l’Italia, prima per numero di domande e seconda per numero di vincitori, precipita al settimo posto fra i Paesi che ospiteranno queste ricerche, sorpassata non solo da Gran Bretagna, Francia e Germania, ma anche dall’Olanda, ed eguagliata da Spagna e Israele (Paese associato all’Unione Europea per la ricerca). Peggio ancora se guardiamo alla “pattuglia di testa” dei vincitori col massimo punteggio: dei 9 italiani, ben 4 lasciano l’Italia per Inghilterra, Francia e Olanda.
Questi numeri sono eloquenti. Per una volta, data la severa selezione che ha portato da 9167 domande a 300 vincitori, i numeri parlano in termini di qualita’, non solo di quantita’. Ci dicono un’amara verita’: l’Italia non attrae come ambiente di ricerca, i nostri giovani migliori non hanno fiducia nel proprio Paese, gli stranieri non considerano l’Italia fra le proprie opzioni. Abbiamo formato ottimi studiosi, ma li spingiamo ad andarsene. In questo saldo negativo, non e’ solo l’immagine del Paese che si annebbia, ma e’ il suo futuro, l’indirizzo delle sue politiche, dei suoi investimenti, dello sviluppo (o mancanza di sviluppo) che ci attende. Di una situazione tanto drammatica, il Governo non si mostra consapevole. La Finanziaria 2008 comporta un ulteriore calo dello stanziamento per le universita’, che si estende anche al 2009 e al 2010: una de’bacle che ci lascia drammaticamente lontani dall’Europa, salvando a stento la spesa corrente e marginalizzando la ricerca. Ecco perche’, dei 35 progetti vincitori italiani, ben 30 vengono da centri di ricerca o da Atenei particolari (Normale, Bocconi), solo 5 da dipartimenti universitari (Padova, Parma, Roma 1, Firenze, Napoli 1).
Ma c´e’ di peggio: dopo due anni di incomprensibile blocco dei concorsi per professore universitario, tutto quello che il Consiglio dei Ministri ha saputo fare (il 28 dicembre) e’ riesumare gli squalificati concorsi secondo la legge Berlinguer del 1998, pilotati in sede locale onde garantire (nel 90% dei casi) la vittoria del candidato locale, senza alcun rispetto per il merito. Secondo il decreto “milleproroghe”, la mesta riesumazione di questa legge-cadavere varrebbe per un solo anno, ma e’ difficile crederlo. Se ci son voluti venti mesi di governo Prodi per rispolverare una normativa pessima senza cambiarne una virgola, quanti anni ci vorranno per inventarne una nuova? Intanto si aggirano fra Camera e Senato alcuni disegni di legge che gareggiano fra loro negli sciatti garantismi della promozione sul campo, dell’ope legis, delle terze e quarte fasce, del trionfo dell’anzianita’ sul merito (ne ho scritto in questo giornale il 5 settembre e il 30 ottobre).
In queste condizioni, l’emorragia dei migliori non solo continuera’, ma e’ destinata ad accentuarsi. Intanto da oltre un anno, nonostante le assicurazioni in contrario, non si e’ riaperto il bando per il “rientro dei cervelli”, che richiede qualche aggiustamento ma e’ indispensabile per correggere, sia pure marginalmente, il saldo negativo, la fuga dei cervelli dall’Italia. E´ indicativo che in risposta al bando ERC tornino in Europa dall’America vincitori tedeschi, inglesi, francesi, spagnoli, finlandesi, svedesi, ma nemmeno un italiano: tanta e’ la perdita di credibilita’ del Paese sul fronte del “rientro dei cervelli”.
Il ministro Mussi e’ capace di grande lungimiranza, come ha mostrato con la nomina di Luciano Maiani a presidente del CNR dopo una preselezione secondo i migliori standard internazionali. Si stenta a credere che egli possa accontentarsi, dopo due anni di paralisi dei concorsi, della miserevole soluzione che il Governo (stremato, si puo’ supporre, dalla maratona della Finanziaria) ha varato fra Natale e Capodanno. E´ di moda accusare gli accademici di autoreferenzialita’: ma non c´e’ nulla di piu’ auto-referenziale di questo ritorno al passato, quasi che esistano al mondo due soli modelli di universita’, targati rispettivamente Berlinguer e Moratti. Viceversa, era ed e’ ancora possibile agire sulla legge Moratti (che quanto meno de-localizza i concorsi) a livello regolamentare, correggendone le storture mediante una prima applicazione sperimentale che, tenendo conto delle esperienze europee, includa commissari anche non italiani (secondo le intenzioni dichiarate dallo stesso Mussi). Se cosi’ non sara’, i concorsi localistici che mortificano il merito scacceranno dall’Italia i giovani migliori, saranno una barriera impenetrabile per gli studiosi stranieri, renderanno irreversibile il processo di marginalizzazione e provincializzazione della nostra universita’. La politica dello struzzo a cui assistiamo con sgomento puo’ solo condurre la ricerca e l’universita’ italiana alla rovina. E´ troppo sperare che il Governo risponda a questo drammatico problema non con ulteriori placebo, ma con un incisivo progetto culturale e politico?”
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