Nei giorni che passavano, mentre la raccolta si costruiva, mentre si affinava il pensiero anche del perché essa fosse e stesse prendendo forma, l’irrisolto di questi versi, la precarietà dell’urgenza del dire di fronte alla follia più pura trovò il modo per divenire schermo stesso attraverso cui leggere il mondo, i giorni che passavano. Oltre ogni buonsenso.
Il mio cammino verso un determinato tipo di impegno culturale è allora figlio di un pianto, di un amore e di quattro bombe insensate. Tutto insieme forma quella contraddizione che sono i nostri giorni e che necessitano di essere descritti prima di poter essere toccati con mano. Tutto insieme forma quel groviglio che non sappiamo leggere perché non riusciamo a capire. Tutto insieme è al tempo stesso la speranza sola di poterne uscire.
Sono passati molti mesi da allora. L’ondata di terrore è rientrata, si è spostata, è cresciuta. Quella ragazza se ne è andata, l’amore e la speranza persistono.
Riprendo questa tema ora perché credo sia giunto il momento, per me prima ancora che per gli altri, di cominciare a scrivere, a fissare, a comunicare un determinato numero di punti di base necessari per fornire delle chiavi di lettura al presente. In questo caso si tratta di alcune delle chiavi di lettura della mia produzione poetica che credo possano rispondere ad una necessità che la poesia contemporanea fatica a cogliere e che ne è il principale difetto ai miei occhi.
Il poeta ancora più che il narratore infatti, a partire dalle ultime neoavanguardie si è totalmente distaccato dalla società. I motivi sono molteplici, sociali, culturali, soprattutto di “riconoscimento” del proprio ruolo all’interno dei tempi moderni. Tuttavia il risultato ottenuto è stato quello di separare sempre più nettamente il linguaggio artistico poetico da quello comune, sino a sfiorare l’incomprensibilità, l’estraneità, l’indifferenza.
Il prodotto poetico è cosi divenuto da messaggio universale per antonomasia a messaggio per pochi, a questione da addetti ai lavori, in cui i locutori si sovrappongono, in cui un pubblico allontanato ha disertato la pagina del poeta e costui si è ritirato in se stesso a recriminare contro l’indifferenza di tutti. Senza neppure porsi il problema di rimediare.
Lo slancio poetico si è allora concentrato in una descrizione minuziosa, quasi topologica di mondi possibili e distanti, personali ognuno al proprio creatore e solo a lui comprensibili. Ma dove è la situazione politica, sociale, tecnologica? Dove è la precarietà che pervade ogni giorno di più le nostre vite? Dove la mercificazione costante del nostro essere? In narrativa possiamo trovarla, una certa reazione si può vedere, ma dove in poesia?
Dove sono le esplosioni, dove il sangue e dove la paura per ogni straniero, divenuto ormai, esso stesso, sinonimo di nemico? Dove? Difficile trovarne esempi.
Non ritengo che il ruolo dell’intellettuale sia quello di guidare la società, neppure ritengo sia suo proprio indicare la rotta o fornire chiavi di comprensione immediate. Ma proporre una riflessione sull’attualità, sull’essere dei giorni, questo è un suo dovere etico. Purtroppo è difficile trovare grandi tracce di questo, almeno oggi, almeno in poesia. La comunicazione con gli altri, l’educazione ad un certo tipo di cultura sono state tranciate di netto con la scusa del rifiuto del grande pubblico, rinchiudendosi in piccole fazioni, in riviste volutamente semisconosciute forse, ma avvolte nella bandiera della fierezza per una immaginata cultura alta.
Credo che le poesie e i tentativi di poesie pubblicate direttamente su internet, da poeti tutt’altro che laureati siano spesso più vicine alla società di quelle dei nomi noti. Noti agli addetti ai lavori poi, perché nessuno li conosce i poeti di oggi. Ammettiamolo. Loro ignorano e allontanano la massa, la massa non si cura di loro; non guarda, ma passa.
Vuole oggi insegnare ancora qualcosa il poeta? Crede di aver ancora parole da dire sul mondo? Vuole di nuovo dare un senso al proprio fare che non sia la consolatoria rilettura personale, o della ristretta cerchia dei simili?
Beh non credo allora che ci sia una soluzione diversa che quella di immergersi di nuovo nel fango dei nostri giorni e descriverli, e contrapporre il silenzio al rumore, l’ordine dei versi alla follia degli integralismi, l’amore in ogni sua forma all’imperante cinismo. Dobbiamo tornare ad esercitare una poetica di presenza e di prossimità.
Abbiamo il dovere di fare una poesia civile nel senso più ampio del termine
Abbiamo il dovere di raccontare la cronaca dei nostri tempi.
Abbiamo il dovere di descrivere la realtà cosi come essa è
Abbiamo il dovere di vivere pienamente questi nostri giorni
Abbiamo il dovere di comunicare tutto questo
Abbiamo il dovere di insegnare qualcosa
Qualsiasi cosa
Note:
1)La raccolta “E Londra è il nostro tempo” di cui parlavo sopra, cosi come quelle seguenti è ancora inedita. Non vorrei metterla in linea per il momento, preferisco prima aspettare qualche risposta sul suo futuro. Se qualcuno fosse interessato a leggerla, ovviamente non ha altro da fare che richiederla. La invierò via mail.
2)La prima presentazione pubblica della stessa raccolta, si terrà il 30 aprile prossimo, all’interno della rassegna “Poliedrica”, presso l’Allround cafè di Forlì (Fc) alle ore 18.00. Per chi di voi volesse essere presente a questo incontro tra la poesia e il proprio pubblico, anche senza bisogno di un libro stampato da promuovere