Nuovo giorno, nuova (inutile) classifica diversa dalle precedenti eppure così straordinariamente uguale. Sembra proprio che le novità facciano fatica a farsi largo nella nostra piccola fetta di blogosfera e oggi esce in pompa magna, sul Corriere e sul Financial times, una ricerca di Edelman che sproloquia sull’influenza dei blogger italiani. Guardacaso, ancora una volta ci si limita a parlare di “inbounds links”.

Al di là della soddisfazione personale di chi si ritrova in classifica direi che proprio non c’è nulla che possa fare notizia né su cui si possa riflettere se non che le discussioni dell’ultimo anno non sono servite a molto o, perlomeno, non sono arrivate a chi queste classifiche le propone e le realizza.

Come al solito la finalità del tutto è economica e riguardo a questo vorrei far notare come in rete ultimamente tutto ruoti attorno a questo vecchio concetto, altro che economia del dono. Essere blogger pare diventare ormai un lavoro inserito all’interno delle società di tecnologia e di certi cluster ristretti che si mantengono autarchicamente sia in termini di link che di inviti e autoinviti a manifestazioni varie. L’unica cosa che sarebbe utile sarebbe davvero quella di considerare blogger solamente coloro che hanno un lavoro altro, che non si occupano di blog nella vita. Otterremmo una maggiore libertà e un’applicazione meno sfrenata dell’economia capitalistica classica. L’economia del dono, tanto annunciata ancora non riesco a vederla.

Noto tuttavia con piacere, via Giuseppe, che recenti studi americani hanno cominciato a dimostrare quanto io avevo detto nel mio documento di un annetto fa in cui sostenevo la necessità di tripartire il termine influenza in più voci, se proprio volevamo giungere a fare delle classifiche inutili sì, ma perlomeno sensate. Sono sempre cose che fanno piacere, ma nessuno mi ricorderà mai!!!

Diciamo che considererò tutto questo il mio personale contributo all’economia del dono…

P.S.
Se ne parla anche su Fratelli d’Italia e da Mauro

8 thoughts on “Ancora classifiche…”

  1. Concordo in pieno. Gli “esperti” dovranno dare l’esempio e controllarsi tra loro a vicenda, cercando di costruire quel capitale sociale che manca nella società offline.

    Altrimenti la massa critica ce la sogniamo in Italia e l’economia del dono altro non è destinata a divenire se non l’essesima occasione per quelli che in Italia sono considerati furbi e all’estero ladri…

    orsù, al lavoro…

    P.S. Sto guardando il tuo nuovo blog, attendo le ultime modifiche prima di commentarti con calma la nuova sistemazione!

  2. Beh. L’Italia è in effetti un caso particolare, per diversi motivi, primo tra i quali un capitale sociale decisamente poco sviluppato. Però credo anche che se vediamo la storia della rete americana o di quella francese, sia solo una questione di raggiungere la massa critica di utenti necessaria a farla maturare.

    Sono completamente d’accordo quando dici che qui siamo ancora indietro. Ma proprio per questo credo che la sfera italiana degli “esperti” debba essere in grado di dare il buon esempio. Il resto, sono convinto, verrà da sé.

  3. Il ragionamento tiene, ma solo all’interno di una rete matura e sviluppato come NON è quella italiana ad esempio. Quanti sanno usarla in maniera corretta, quanti invece prendono l’articolo della Repubblica di turno che prende e non cita e ne fanno oro colato con relativo guadagno per l’azienda?

    Quanto la ricerca su Google sta diventando l’unico modo per trovare l’informazione e quanti allora ottimizzano i loro siti, i loro blog per avere un pagerank più alto, anche rendendo le informazioni p iù difficili da reperire in un altro modo?

    La reputazione funziona solo poste le premesse di una rete abitata e sottoposta a determinate regole condivise che, personalmente, non mi sento di dare per scontata.

    La teoria è buona, ma non ci sono, a mio avviso, ancora le condizioni perchè essa si realizzi e per farlo bisogna muoversi nella giusta direzione, non considerare tutto questo come un qualcosa di già dato.

  4. Ad esempio, secondo me, i vari servizi che prendono i post dai blog e li ripubblicano non sono da condannare, finché è mantenuta la paternità dell’autore. Il fatto che loro gudagnino o meno, per me, è poco rilevante. Se mi danno la paternità non fanno altro che dare nuova vita a una mia idea, e questo mi basta.
    Per quanto riguarda il discorso dei free rider (e qui io non sono d’accordo su tutti gli sbrodolamenti del pagerank, semplicemente perché a me del pagerank non frega una cippa: mi interessa molto di più che l’informazione che pubblico sul mio blog sia accessibile e ben strutturata, perché è quello il vero valore, non un numero deciso da Google) ritengo che il meccanismo della reputazione sia perfettamente in grado di circoscriverli. Sulla rete, si sa e mi sembra dimostrato, le bugie hanno le gambe corte.

  5. Il punto su cui non siamo riusciti a trovarci credo sia:

    “Per Mauss il dono porta con sè anche interessi economici”

    oppure l’impressione che io ho a volte che riassumo in:

    “Gli interessi economici portano a mostrare una finzione di dono”

    Il fatto che l’economia del dono abbia risvolti economici è indubbio, ma possiamo considerare economia del dono anche un eventuale blogger che prende tanto dagli altri, manda poco o nulla in cambio e utilizza quanto preso al fine di guadagnarci sopra?
    Opportunistico senza dubbio, parassitico se vogliamo, ma è un rischio effettivo, consideriamolo, non è troppo lontano dalla realtà.

    L’economia del dono presuppone un impianto etico comune che se mancante ne porterà al fallimento così come detto da Stigliz, la fiducia resta la parola chiave. E ci sono iniziative dubbie che si moltiplicano in rete. Cerchiamo solo di non perdere il capitale di partenza. Tutto qui

  6. Mi chiedo se tu abbia effettivamente letto il mio commento. Ho detto esattamente che il dono per Mauss porta con sé anche interessi economici. Il fatto è che quando esistono soltanto gli interessi economici, sulla rete, nessuna iniziativa sembra funzionare.
    Non riduciamo l’economia del dono alla solita banalità new age del regalo reciproco, perché è molto più di questo. Ed è anche una cosa diversa 🙂

  7. Non ne sono così convinto, mi pare che più spesso accada che il dono di fiducia della massa sia utilizzato a fini economici pur mascherando il tutto dietro altro.

    Il cercare di tirare fuori del denaro da molti fenomeni che partono come gratuiti e collettivi mi pare che vi sia riconducibile, il cercare di settare il blog in maniera da ottimizzarlo per google o per le ricerche altrui più che come problema di gestione delle informazioni mi pare derivare da una preoccupazione di aumentare il valore del nostro prodotto culturale personale.

    Insomma, l’economia verso cui ci avviamo sarà mista, tra quella del dono e quella vecchia, ma mancando un’etica forte ci sono grandi rischi di deriva. Credo sia il caso di porsi il problema e discuterne ampiamente.

    Il media non fa l’uso, sempre sociale e deciso da noi e anche il nuovo rischia di essere molto vecchio se nessuno presta attenzione…

  8. Guarda che l’economia del dono mica esclude a priori gli scambi commerciali, anzi.
    Se rileggi Mauss, lo scambio del Kula tra gli indigeni delle isole Trobriand è fatto proprio per mantenere i contatti tra isole (in rete potremmo dire cluster) vicine, ai fini di incentivare gli scambi, anche commerciali, tra le stesse.
    Detto questo è evidente che tutta l’economia in rete sia basata anche sul dono (presente Ebay? Come fai ad avere reputazione se nessuno, all’inizio, ti fa un dono di fiducia?), e che le soluzioni esclusivamente commerciali che non tengono conto di questi scambi, semplicemente, falliscono. Come sono fallite le aziende della bolla speculativa del primo web…

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